• IL MIO CERTIFICATO

    Nacqui il due Febbraio del 1939 a Figueira da Foz. scansione0001
    Ebbi un’infanzia capricciosa e agiata in seno ad una famiglia fortemente dominata dallo spirito, per così dire, della 1.ª Repubblica. Sarà superfluo aggiungere che abbondavano i motti anticlericali, sebbene mio padre desiderasse molto che io intraprendessi la carriera ecclesiastica. Insomma, non si capiva nulla. Per lo meno a prima vista.
    Intorno ai quindici anni mi stabilii con la famiglia a Lisbona per poter proseguire la mia mediocre odissea liceale. Iscrittomi al Collegio del Dott. Mário Soares, finii per essere espulso quando contrassi una pericolosissima malattia venerea. Pensai, allora, che tra la politica e la debolezza della carne ci dovesse essere una qualche oscena incompatibilità. E mai più fui visto in compagnia di politici.
    Essendo riuscito, alla fine, a dissipare tutta la fortuna nel soddisfacimento di efferati appetiti, il mio amato padre venne a mancare a causa di un crudele attacco cardiaco, lasciandomi disorientato  e senza un soldo. Era giunta l’ora di mettersi in gioco come la maggior parte delle persone. Degno figlio di mio padre, passai signorilmente per molti e diversi impieghi, ma in poco tempo compresi che già non potevo più vedere il mondo allo stesso modo. Andai persino a Parigi per vedere fino a che punto potevo arrivare. Non mi era possibile andare molto lontano. Mesi dopo, “ayant connu pas mal de choses”, venni rimpatriato.
    Nel 1960 incontrai il signor Seixas Santos che ebbe la bontà di insegnarmi un po’ delle molte cose che sa sul cinema. Lo stesso valeva per il  signor Vasconcelos che sembrava far progressi, anche se sfortunatamente (per lui) il tempo ancora non glielo aveva dimostrato.
    L’anno seguente, lavorai come assistente alla regia del signor Perdigão Queiroga e ammetto che avrei potuto apprendere qualcosa di più se non fossi stato presuntuoso.
    Nel 1963, in qualità di immeritevole borsista della Fondazione Calouste Gulbenkian, partii per Londra per frequentare la London School of Film Technique. Suppongo che mai, in quella scuola, ci fu studente peggiore, ma in questo la colpa non fu mia: è che di fatto gli Inglesi non sono nati per il cinema. D’altronde, ancora non ho ben capito per quale ragione gli Inglesi siano nati. Certamente deve essere per la stessa ragione per cui nacquero le cimici, gli scarafaggi e il pane integrale, pane miserabile che il diavolo impastò . La permanenza a Londra fu molto divertente soprattutto sul  piano salutare delle dolci amicizie. Tuttavia, al ritorno in Patria, il mio pessimo profitto scolastico venne giudicato vergognoso da provinciali prefiche a cui non passerà mai per la testa, così afflitte a causa del denaro mal speso della Gulbenkian, che la stupidità e l’incompetenza si trova in qualsiasi parte del mondo, anche nel cuore di Londra, sotto l’altisonante nome della  London School of Film Technique.
    Nel 1965 conobbi Paulo Rocha e i suoi Verdi anni, Fernando Lopes e il suo Belarmino. Divenni amico di Fernando e mi innamorai del film del signor Rocha, le cui abitudini da anacoreta lo rendevano poco accessibile.
    In questo stesso anno, tentai di mettere in piedi un progetto di un film in 16 mm intitolato Quem Espera por Sapatos de Defunto Morre Descalço. Due giorni di riprese e la coda fra le gambe. Mancanza di x. Tuttavia, questo anno nero non si sarebbe concluso senza che lasciassi a metà il primo film pubblicitario che mi rifilarono, su come, grazie a-non-so-che-cosa, far scomparire facilmente i cattivi odori delle ascelle; e senza che mi internassero per sedare la febbre.
    Di nuovo alla vita civile, i miei eccessi ultra romantici, al fianco della più nobile profondità sentimentale, ebbero alla fine (Ah figlie di Sidone) la giusta ricompensa, il che non mi evitò la noia di lavorare per un anno come impiegato presso la Filmes Castello Lopes Lda.
    scansione0004Nel 1968, dopo un confortante periodo in cui scoprii che di madri ce ne sono molte e di padri solo uno, il Celeste, diedi mostra, oltre all’istinto di conservazione, di possedere molte altre capacità, e fui alla fine raccomandato al produttore  Ricardo Malheiro. Fu, quindi, nella più sfrenata euforia che feci il filmetto sulla signora Sophia. Passato poco tempo (oh disgrazia!), Malheiro stava andando verso il fallimento economico o, è esattamente la stessa cosa, il fallimento stava dirigendosi verso Malheiro. Senza grandi vantaggi, ho tentato ancora nella pubblicità. Disperatamente. E dissi, tre o quattro film, un viaggio, hélas! in Guinea.
    Nell’anno successivo, stimolato da alcuni buoni propositi (saudades), riuscii a riprendere il progetto Quem Espera por Sapatos de Defunto Morre Descalço, le cui riprese furono interrotte per due anni. In un momento in cui già non ne potevo più del film, la Fondazione Gulbenkian mi concesse (grazie) un sussidio di $$$$$$$$$$… 180 contos, diviso in tre rate. Qui, ebbi la tentazione di fare un giro. Chiesi a Vasconcelos di filmare le ultime scene che ancora mancavano per concludere il film e me ne andai in Italia e inevitabilmente a Parigi. Esaurita la finanza, tornai per concludere il film, ricevere l’ultima rata e partire un’altra volta, ora in treno, ora in autostop a seconda dell’ispirazione: Barcellona, Marsiglia, Firenze, Milano, Como, Cernobbio, Parigi.
    Nel frattempo, il film cominciò ad essere mal accolto presso il mecenate (volevano un’ opera con 180 contos?), continuò ad essere mal criticato in un festival nel sud della Spagna e venne freddamente accolto dai critici presenti a Nizza durante la cosiddetta Semaine du Jeune Cinéma Portugais. Fu un peccato, perché diversamente avrei potuto comodamente godere di privilegi locali, ma visto che così non fu, pazienza! Nonostante ciò, approfittai della permanenza a Nizza per comprare un bel costume da bagno a due pezzi con una banconota di 100 franchi che João Bénard mi imprestò e minacciai di rompere una bottiglia di vino rosso sulla testa di Cunha Telles che, inaspettatamente, mi diede dell’opportunista. Non sono di natura aggressivo, anzi al contrario, ma essere insultato da un furbo affarista è una cosa che mi fa uscire dai gangheri. Detesto la promiscuità e da essa ho sempre mantenuto scrupolosamente le distanze. Per una sola e semplice ragione: quella di mantenere intatta e incolume la mia persona, al di là della coscienza di tutti i miei errori e imperfezioni. Prendo, il più delle volte, questa fantocciata con il sorriso sulle labbra, ma non è un caso che sempre di più frequento meno persone.
    Sistemati definitivamente i Sapatos iniziai la scorsa estate A Sagrada Família che spero di terminare in questi giorni. Presumo che non gli spetterà miglior sorte di quella del film precedente ma devo confessare che la considero una esperienza relativamente importante, se non, e sicuramente no, sul piano complessivo di un cinema portoghese, per lo meno sul piano individuale del mio proprio cinema, nell’esatta misura in cui, da un lato, discute e corregge dialetticamente il film precedente e dall’altro lato, prepara già il film successivo.

    Il film seguente si chiama A Tempestade e sarà realizzato in una Arrábida  dipinta con  Robbialac  se, come si spera,  gli enti competenti locali non solleveranno ostacoli insormontabili. O quanto meno, è doveroso riconoscere il prezioso contributo che questa prestigiosa marca, la più utilizzata e resistente, ha prestato al colorito della Nazione.

    Che pensare di tutto ciò? In primo luogo, che la vita è difficile per i poveri. Dopo, che, in questo o in quello, siamo tutti molto occupati, anche in mancanza di cose da fare. Infine, che mentre, per quanto mi riguarda, passo il tempo, come qui e adesso, a parlar bene del mio piccolo ego e a fornire di me stesso immagini accattivanti, come queste, esistono persone ben più riservate che, in modo discreto e devoto, si prendono cura di me e del mio glorioso destino, il che, del resto, non è una novità.
    Pare che sia stata sempre una costante della Storia.
    Così, non mi resta altro che riconoscere la solitudine morale di una pratica cinematografica fondata sulla duplice ricusa di essere, da un lato, considerata come una sorta di auto in affitto della classe dominante e, ancor più grave, di sostituire a questa profonda esigenza qualsiasi genere di demagogia neo-fadista che si fa carico e vende la miserabile illusione di servire, con un abuso di potere, interessi che gli sono estranei.

    in Morituri Te Salutant, & etc-Arcadia, Lisbona, 1974

    (traduzione  a cura di Francesco Giarrusso)